Marco Zulberti - XLII Premio Firenze

XLII Premio Firenze
Title
Vai ai contenuti

Marco Zulberti

SEZIONE B - POESIA INEDITA

SEGNALAZIONE D’ONORE
MARCO ZULBERTI

per la poesia inedita

LA DISCESA DELL’ANGELO

con la seguente motivazione:

Il poeta racconta di aver immaginato e declinato in versi un pensiero ed un’immagine percepiti alla morte di Mario Luzi passeggiando sotto le pareti del Duomo di Milano. Ha visto un angelo, che simboleggia l’anima del grande poeta, scende dalle guglie tra le quali brilla la statua della Madonna fin al battistero di San Giovanni; alla fine del viaggio, redento il peccato, tra le pietre dell’area sepolcrale la voce del poeta riposa, muta, in uno sconfinato silenzio: poesia celebrativa, immaginifica, che, anche se fosse taciuto a chi dedicata, porterebbe inevitabilmente il pensiero al ‘poeta’ che, forse, più di chiunque altro ha saputo coniugare, ermetismo, esistenzialismo e poesia ‘civile’.  
La Giuria del Premio Firenze


LA DISCESA DELL’ANGELO
In morte di Mario Luzi

Il soffio d’aria gelida sulle palpebre
risveglia l’anima. Gli occhi si aprono,
mentre si illumina nell’alba il cielo.

Il manto della donna
che veglia sulla città dormiente,
si ravviva ai primi raggi del pianeta nascosto.

Al vertice della guglia,
colpite dai riflessi lucenti,
le gote si sbiancano.

La grazia del mattino innesca il canto
delle prime rondini rotanti
Intorno al tiburio.

Lo sguardo scivola vertiginoso
dall’angusto spazio in paraboliche traiettorie
giù tra i pinnacoli, sormontati da figure immobili.

Un giardino sospeso
nell’aria,
illuminato da una primavera che avanza.

Dal palmo della mano ferita
cade
una goccia di sangue.

“Si devi purificare con acqua,
acqua di fonte.
C’è poco tempo”: mormora.

Da lontani monti innevati il vento
spinge a raffiche, torreggianti cirri
a velare di grigio il cielo azzurro terso.

Lo sguardo si perde fra finestre trilobate,
cuspidi decorate da nicchie
dove sostano figure d’angelo.

Nella discesa il passo si muove,
attento, mentre cerca
un appoggio tra sentieri di pietra.

Il piede nudo è accolto da gradini concavi,
consumati dal peso di anime leggere,
passate in tempo ormai perduti.

Intorno al coro il passo discende
alla bianca spianata candoglia
che declina verso lo strapiombo

a sbalzo sulle terrazze
Il volto sferzato dal vento
si sporge su verticalità vertiginose.

Dal ciglio digradano
pietrificati irti
roseti selvatici.

Il corpo sembra camminare sul vuoto,
ma è sorretto da arcate di pietra
che salgono dai piloni della navata sottostante,

un complesso articolarsi di contrafforti,
su cui si scaricano gli archi rampanti
dove profeti slanciati come colonne

accentuano la verticalità dell’immensa struttura.
Gli occhi osservano la donna lassù
mentre la distanza con il cielo è già incolmabile.

Un vortice di nebbia vorticoso
scende improvviso e gelido.
La mano scivola sulla pietra irta di granelli.

Le ossa delle dita contro altre ossa
Della lunga scala di pietra
che conduce verso la terra

In un muoversi contro natura,
dalla luce si entra nell’ombra
lungo cammini addossati

a strapiombanti lastre
su cui s’appoggiano le mani.
La vertigine ora è guardare verso l’alto,

lungo la parete che sale immensa.
Un corridoio. Tra arco e arco,
impone un labirintico orizzonte

Le pietre a gradini girano vorticose
sprofondando nell’oscurità,
dove sibila il rafficare ipnotico del vento.

Il passo entra nel transetto
accolto dall’armonia della lode mattutina.
Fioche candele emergono dall’oscurità.

Avanza verso il presbiterio
dove penetra la luce dalle immense
vetrate svettanti illuminando

le pietre più oscure,
rifrangendosi sugli affreschi,
sulle gemme preziose, sui calici

e sulle madreperle degli altari.
In alto le volte a crociera
si scontrano con quelle

del sovrastante coro,
mentre dai profili vigorosi delle arcate
dominano le forse dei costoloni trasversali.

Al centro della navata la luce è massima.
Il volto sospira e attende l’attimo,
mentre muove lieve
il passo su antiche tombe

di poeti dimenticati.
Dalla vetrata del ciborio un raggio
si illumina d’improvviso
percorre la navata
illuminando la stretta scala sul fondo.

S’incammina lungo le cappelle radiali
scandite da sottili nervature
che salgono come radici alle volte.
E mentre la luce scompare
scende i gradini della cripta
dove nella soffusa penombra,
sente gorgogliare

l’acqua delle Giovannee fonti,
che serena affiora
e bagna l’antica vasca.

Il bagliore di una bianca veste
Svela la presenza di una donna:
“Ti aspettavo”.
Sorride.

“Mariae Nascenti”.
Il termine era posto
Presso quelle sole due parole.

L’angelo allora si accosta
e mentre immerge la mano
nell’acqua che s’arrossa e purifica
tra le pietre infila un rotolo di carta.

Tra quelle pietre
ora la sua voce riposa,
muta,
in quel mistico,
sconfinato silenzio.

Milano 28 Febbraio 2005

Torna ai contenuti